giovedì 29 luglio 2010

Moralità e pulizia (?)

di Ivan Vaghi

Sandro Bondi non è propriamente noto per essere una voce critica all’interno del suo partito. A volte però la sua devozione e, possiamo dirlo, il suo amore per il capo, sconfinano nell’imbarazzante. L’8 agosto del 2003 ad esempio, in una intervista a “Il Giornale”, ci fece capire fino a che punto era in grado di arrivare: “E’ necessario difendere fino in fondo Berlusconi e la sua maggioranza dall’accanimento persecutorio dei giudici. Fino al sacrificio del nostro corpo”. Che non si trattasse solo di una metafora lo si era capito, perché più di uno tra i discepoli di Berlusconi si sono presi tutte le colpe in alcuni procedimenti giudiziari che vedevano coinvolti il premier. Non a gratis ovviamente, ce li siamo poi ritrovati senatori o ministri, ma questo è un altro discorso. Bondi però può fare anche di meglio, e lo ha dimostrato qualche giorno dopo, in una intervista a “Il Giorno” del 17 settembre 2003: “Berlusconi ha portato nella politica italiana una ventata di moralità e di pulizia”. Non sto qui a perdere tempo in commenti, faccio solo l’elenco dei pregiudicati che il PdL ha inserito nelle sue liste elettorali alle scorse elezioni:

Berruti Massimo Maria: condannato a 8 mesi per favoreggiamento. Aveva depistato nell’estate del 1994 le indagini sulle tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza dopo una visita a Berlusconi a Palazzo Chigi.

Camber Giulio: condannato nel 2007 dalla Corte d’appello di Trieste a 8 mesi di reclusione (con rito abbreviato e sconto di un terzo della pena) per millantato credito nell’ambito del crac Kreditna Banka, l’istituto di credito della minoranza slovena fallita nel 1997. Nel novembre 1994 avrebbe ricevuto 100 milioni di lire dai vertici dell’istituto, garantendo loro un intervento politico per salvarlo dalla bancarotta.

Cantoni Giampiero: ha patteggiato 2 anni di reclusione complessivi per corruzione e per concorso nella bancarotta fraudolenta del gruppo Mandelli.

Ciarrapico Giuseppe: 5 condanne definitive. Nel 1973 per truffa aggravata e continuata ai danni di Inps, Inail e Inam per non aver registrato sui libri paga gli stipendi dei dipendenti. Nel 1974 per aver violato per quattro volte la legge che tutela “il lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”. Nel 1995 viene condannato con rito abbreviato a 1 anno per falso in bilancio e truffa. Nell’Aprile ’93 Di Pietro lo fa di nuovo arrestare per una stecca di 250 milioni di lire versata al segretario del Psdi Antonio Cariglia su richiesta di Andreotti. “Era vero, li diedi per arruolare Domenico Modugno alle feste dei socialdemocratici”, dirà lui anni dopo. Nel 1995 viene condannato con rito abbreviato per falso in bilancio delle Terme Bognanco. Nel 1998 condanna a 4 anni e 6 mesi per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano. La sua “Fideico”, nel 1982, aveva ottenuto dalla Banca di Roberto Calvi e della P2 un improvviso aumento della linea di credito da 4 a 39 miliardi, restituendo solo le briciole. Nel 1999 la quinta condanna definitiva a 3 anni per il crac da 70 miliardi della società che controllava la “Casina Valadier”, il palazzetto liberty romano trasformato in ristorante. Ma il Ciarra, pur dovendo scontare 7 anni e mezzo, non finisce in carcere: grazie all’età e agli acciacchi, ottiene l’affidamento ai servizi sociali. Età e acciacchi non gli impediscono però di fare il parlamentare.

De Angelis Marcello: condannato in via definitiva a 5 anni di carcere (di cui 3 scontati) per banda armata e associazione sovversiva come dirigente e portavoce del gruppo neofascista Terza Posizione, fondato da Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi e Ciccio Mangiameli.

Dell’Utri Marcello: condannato definitivamente a 2 anni e 3 mesi per false fatture e frodi fiscali nella gestione di Publitalia (reato per cui fu arrestato per 18 giorni nel maggio 1995 e poi patteggiò la pena in Cassazione). Condannato in primo grado e in appello a Milano a 2 anni per tentata estorsione mafiosa insieme al boss trapanese Vicenzo Virga ai danni dell’imprenditore Vincenzo Garraffa. Condannato in primo grado a Palermo a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, pena recentemente ridotta a 7 anni in appello con una sentenza che conferma le accuse.

La Malfa Giorgio: condannato definitivamente a 6 mesi per il finanziamento illecito della maxitangente Enimont.

Lehner Giancarlo: per alcuni suoi articoli, e in particolare per un pamphlet calunnioso in cui accusava addirittura i magistrati di Mani Pulite di «attentato a organo costituzionale» (cioè a Berlusconi), Lehner è stato condannato per diffamazione dal Tribunale di Trento.

Nania Domenico: condannato in via definitiva a 7 mesi per lesioni personali legate ad attività violente nei gruppi giovanili di estrema destra. Condannato in primo grado per gli abusi edilizi nella sua villa di Barcellona Pozzo di Gotto e salvato in appello dalla prescrizione. Nemmeno il condono edilizio varato dal governo Berlusconi e votato anche da lui è riuscito a sanare la sua villa abusiva con piscina, costruita in spregio delle leggi urbanistiche (legge 47/1985, articolo 20) e anche di quelle antisismiche (legge 64/1974 sulla necessaria autorizzazione del Genio civile). Anche perché la sanatoria berlusconiana prevedeva il pagamento di una serie di oblazioni che Nania non ha versato in tempo utile. Non male, per un ex sottosegretario ai Lavori pubblici.

Sciascia Salvatore: condannato definitivamente a 2 anni e 6 mesi per aver corrotto, nella sua qualità di manager Fininvest, alcuni ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza affinché ammorbidissero le verifiche fiscali. L’inchiesta è quella aperta dal pool Mani Pulite nella primavera del 1994, in seguito alle confessioni di alcuni finanzieri a proposito di quattro tangenti da circa 100 milioni di lire ciascuna pagate dal gruppo Fininvest perché chiudessero gli occhi nei blitz tributari nelle società Mediolanum, Mondadori ed Edilnord.

Tomassini Antonio: medico chirurgo, amico personale di Silvio Berlusconi, è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione a 3 anni di reclusione per falso. Durante un parto, una bambina sua paziente nacque cerebrolesa, ma lui contraffece e soppresse il partogramma. Nel 2001 Forza Italia lo candidò subito al Parlamento e lo nominò responsabile per la Sanità del partito e presidente commissione Sanità del Senato.

A questi personaggi vanno aggiunti i politici indagati e quelli con procedimenti penali in corso, e quelli condannati in primo grado o in appello. Si tratta di:

Abrignani Ignazio (indagato per dissipazione post-fallimentare); Brancher Aldo (condannato in primo grado e in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito al PSI, nonché indagato per ricettazione nella scalata ad Antonveneta); Briguglio Carmelo (rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e truffa ai danni della Regione Sicilia e dell’Unione Europea); Catone Giampiero (rinviato a giudizio per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, falso, false comunicazioni sociali e bancarotta fraudolenta pluriaggravata; rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta e per truffa); Ciarrapico Giuseppe (oltre alle condanne definitive anche un’altra decina di procedimenti penali in corso, dalla diffamazione al falso alla corruzione); Comincioli Romano (imputato per le false fatture e i bilanci truccati di Publitalia, nonché coinvolto nella scalata di Ricucci al “Corriere”); De Gregorio Sergio (indagato per riciclaggio e favoreggiamento alla camorra); De Luca Francesco (indagato per tentata corruzione in atti giudiziari); Firrarello Giuseppe (condannato in primo grado per turbativa d’asta, nonché indagato per concorso esterno in associazione mafiosa); Fitto Raffaele (indagato per corruzione, falso e finanziamento illecito ai partiti); Galati Giuseppe (indagato per associazione a delinquere); Giudice Gaspare (imputato per associazione mafiosa, bancarotta fraudolenta e riciclaggio); Grillo Luigi (imputato per aggiotaggio); Landolfi Mario (imputato per corruzione e truffa); Martinat Ugo (imputato per turbativa d’asta e abuso d’atti d’ufficio); Matteoli Altero (imputato per favoreggiamento); Messina Alfredo (indagato per favoreggiamento in bancarotta fraudolenta); Nessa Pasquale (imputato per concussione); Paravia Antonio (imputato per corruzione); Papa Alfonso (indagato per abuso d’ufficio); Pecorella Gaetano (imputato per favoreggiamento nelle stragi di piazza Fontana e piazza della Loggia); Pittelli Giancarlo (imputato per associazione a delinquere); Proietti Cosimi Francesco (indagato per corruzione); Russo Paolo (indagato per concorso esterno in associazione mafiosa); Scampagnini Umberto (imputato per abuso d’ufficio e violazione della legge elettorale); Simeoni Giorgio (indagato per associazione a delinquere e corruzione); Tortoli Roberto (indagato per concorso in estorsione); Valentino Giuseppe (indagato per favoreggiamento); Vizzini Carlo (condannato in primo grado per finanziamento illecito).

La maggior parte di questi gentiluomini sono stati eletti, presumiamo però che la loro fedina penale non sia stata pubblicizzata in campagna elettorale. Pensate che ci siamo dimenticati del capo? Berlusconi sfoggia, a fronte di una assoluzione con formula piena: 2 amnistie; 1 assoluzione dubitativa; 2 assoluzioni per depenalizzazione del reato (con leggi che si è fatto lui); 8 archiviazioni; 6 prescrizioni; 3 processi in corso; 1 indagine in corso. Quale sia il significato di moralità e pulizia secondo Bondi è davvero difficile da capire….

(Fonti: “Se li conosci li eviti” di Travaglio e Gomez; Ministero dell’Interno)



lunedì 26 luglio 2010

Le palle di Marchionne

di Ivan Vaghi

L’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne ha recentemente comunicato che verrà costruita in Serbia una fabbrica per produrre un nuovo modello di auto. Perché in Serbia? Perché i sindacati in Italia non sono seri, e perché la Fiat non può permettersi interruzioni di produzione. La causa scatenante di questa scelta sarebbe stato il famoso referendum di Pomigliano (peraltro, se vogliamo dirla tutta, vinto dalla Fiat). Questa è la prima palla, perché il referendum è di due settimane fa, mentre il progetto di costruzione del nuovo impianto in Serbia è già in fase avanzata: è stato stabilito l’investimento, è stato identificato il sito, sono stati presi accordi con lo stato serbo, co-investitore del progetto, è già stato stabilito il piano industriale. Evidentemente tutto questo era impossibile farlo in due settimane, il che vuol dire che è stata una decisione presa da tempo e su cui la Fiat ha lavorato, probabilmente da mesi, con grande impegno.

La delocalizzazione della produzione in paesi dove la manodopera costa meno è un processo iniziato da un po' - la stessa Fiat produce vetture già da tempo in Polonia e Brasile – di per sé quindi non sarebbe nemmeno questa grande novità, allora perché dare la colpa ai sindacati? Per due motivi: il primo è continuare in quell’opera di divisione dei sindacati già cominciata da tempo (e a cui purtroppo i sindacati non riescono ancora a sottrarsi), che vuol dire ridurre il potere di contrattazione dei lavoratori; il secondo è trovare un capro espiatorio per giustificare una decisione che ha lasciato perplessi tutti, a cominciare dalla classe politica, che per una volta ha reagito. Perché ha reagito? Forse perché la Fiat aveva a suo tempo fatto altre promesse. Montezemolo, presidente Fiat, qualche tempo fa si è esibito nella battuta migliore dell’anno, quando ha detto che la sua azienda non ha mai preso un soldo dallo Stato italiano e che gli incentivi alla rottamazione erano un aiuto ai clienti e non alle case automobilistiche. La reazione è stata di ilarità diffusa, ma evidentemente c’era qualche attrito che covava nell’ombra e che ha fatto prendere a Fiat questo tipo di decisione, incurante delle promesse di garanzia di occupazione per i lavoratori Fiat in Italia. Seconda palla quindi, se vogliamo la prima in ordine cronologico: io mi prendo i soldi pubblici e ti prometto che non licenzio nessuno e anzi che rilancio l’occupazione, poi vediamo...

La cosa più inquietante però, passata in secondo piano, è quell’affermazione di Marchionne che dice di “non potersi permettere una interruzione di produzione”, riferita sicuramente alla minaccia di scioperi. Si tratta di una minaccia al limite dello squadrismo: non vogliamo sentire parlare di sindacati e di scioperi per difendere salario e occupazione, altrimenti ce ne andiamo (o licenziamo, come è accaduto recentemente ad alcuni sindacalisti della Fiat). La minaccia evidentemente è rivolta agli operai serbi: si dovranno accontentare di condizioni salariali e di lavoro al di sotto degli standard europei? Il sospetto c’è.

venerdì 23 luglio 2010

Live Report – Consiglio comunale del 22 luglio

Seduta rapida ieri sera, anche se qualche spunto interessante lo si trova sempre. Si sono discusse alcune variazioni di bilancio, in genere spostamenti di fondi da settori in cui non venivano utilizzati ad altri che invece necessitano di “rinforzi”. Sono tre le questioni più significative emerse:

  1. Il Centro di Aggregazione Giovanile non riaprirà. L’avevamo già capito in effetti, sarebbe stato più onesto dire che la chiusura (definitiva) del CAG era già stata decisa da tempo. Certo in quel caso avrebbero dovuto dare anche delle motivazioni, cosa che l’amministrazione non farà. Si sono limitati a dire che è una scelta amministrativa, e che questo può liberare dei fondi che andranno da altre parti. Rimane aperto il problema della ristrutturazione dei locali, effettuata con fondi regionali destinati ad uno scopo che l’amministrazione non ha intenzione di onorare. Chissà cosa ne pensano al Pirellone.

  2. E’ necessario un incremento di fondi destinati all’asilo nido (32000 Euro). Il grosso problema lamentato dall’assessore al bilancio Gadda è il contratto sottoscritto dalla precedente amministrazione, che ha consentito ai gestori di elevare il costo mensile di ogni bambino a 800 Euro mensili. Si tratta di una cifra ben al di sopra della media degli altri asili nido della zona, che si attesta sui 600 Euro. Le lamentele dell’assessore ci paiono giustificate, speriamo che si riesca a trovare un accordo nell’immediato futuro.

  3. Verrà effettuato uno studio di fattibilità per l’allacciamento alla struttura idrica dei comuni vicini nel caso il cantiere di Pedemontana faccia collassare il pozzo di Solbiate. Purtroppo è una eventualità possibile. La spesa sarà a carico di Pedemontana.

E’ stato anche letto un comunicato in cui il consiglio chiede al sindaco di appoggiare tutte le iniziative volte a contrastare l’attuazione della legge che obbliga gli enti locali ad attribuire ai privati la distribuzione dell’acqua potabile. Della cosa ne abbiamo già discusso su questo blog. Avevamo anche chiesto che venisse inserito nello Statuto comunale un articolo che definisse l’acqua potabile un bene non soggetto ad interessi economici di alcun tipo. Non sappiamo se verrà accolta la proposta, per il momento il Consiglio comunale definisce l’acqua un bene comune ed un diritto inalienabile, la cui gestione si deve sottrarre alle logiche di mercato. Al sindaco viene anche chiesto di riferire degli sviluppi futuri della vicenda. E’ doveroso, comunque vada a finire, ringraziare il consiglio comunale della sensibilità dimostrata, sperando che la stessa sensibilità sia condivisa anche dalla Giunta (o perlomeno dalla maggior parte di essa). Confidiamo anche che ci sia sostegno effettivo, da parte dei membri del gruppo amministrativo, nel sensibilizzare i solbiatesi in occasione del referendum per l’abrogazione della legge nel caso venisse proclamato.

giovedì 22 luglio 2010

Perdere le speranze in Valle Olona

Valle Olona, da dove cominciamo?

I lavori di Pedemontana sono cominciati, e l’ultima delle belle notizie (si fa per dire), attesa da tempo, è che

Per tutta la durata dei lavori, vale a dire circa tre anni, il tratto di pista ciclopedonale in prossimità del viadotto resterà chiuso e quindi di fatto il tracciato spezzato in due.

Stasera, ieri sera e lunedì sera, il tratto in questione era ovviamente pieno di ragazzi e ragazze che correvano, biciclette, famiglie che passeggiavano. Bene, addio, per tre anni.

Dove sbucherà Pedemontana

Pedemonta sbucherà proprio lì, sotto la casa, dove si interrompe la fila di alberi. Il viadotto, tra l’altro, sarà talmente basso che, quando sarà ultimato, si potrà correre, a rischio di sbatterci la testa (non è vero, ma sarà davvero bassissimo, basta guardare la foto).

Capitolo secondo. Strada porta strada. E così, assieme a Pedemontana, verrà costruita una bretella tra i comuni di Olgiate Olona e Solbiate Olona. Purtroppo il sistema è questo: non contrastare il traffico, ma cercare di diluirlo. Peccato che per diluirlo debbano essere create altre strade che, a loro volta, incentivano a utilizzare l’auto. E non ne usciremo mai più.

Capitolo terzo. Sembra sia stata individuato il problema che ha causato la moria di pesci nell’Olona il 25 giugno scorso:

Potrebbe essere attribuita proprio al sottodimensionamento delle condutture fognarie, la fuoriuscita di schiuma che lo scorso 25 giugno ha causato la morte di migliaia di pesci nel tratto di fiume compreso tra Fagnano e Olgiate Olona. Questa almeno la causa individuata da Arpa, in seguito ad una serie di sopralluoghi.

Gli abitanti della Valle avevano già individuato il problema, e da molto tempo, dato che non è la prima volta:

Lo scarico (e lo striscone) tra Solbiate e Fagnano Olona

Comunque, potete consolarvi: anche il torrente Strona, oggi, è stato colpito da una moria di pesci.

Stefano Catone

mercoledì 14 luglio 2010

Indovina chi viene a cena?

di Ivan Vaghi

Che le questioni importanti di un paese vengano discusse in una situazione privata, come una cena a casa di un giornalista, piuttosto che in sedi istituzionali, ci può anche stare. Purché non sia un’abitudine. Sappiamo però cosa ne pensa mister B del Parlamento, e sappiamo anche che preferisce le crostate del cuoco di Arcore alle discussioni a palazzo Chigi o al Quirinale. La differenza sostanziale è che in una cena a casa Vespa risulta difficile sapere esattamente cosa viene detto e con quali termini. Quello che sappiamo è che si sono incontrati Berlusconi, il suo braccio destro nonché consigliere politico Letta, Pierferdy Casini, il governatore della Banca d’Italia Draghi e il cardinale Tarcisio Bertone. Argomento di discussione? Chi può dirlo, possiamo andare a intuito, certi di non andare troppo lontani dalla verità: Berlusconi, in difficoltà con i finiani e geneticamente impossibilitato ad accettare critiche, scandaglia il terreno per vedere se è possibile “sostituire” Fini con Casini, eventualità tra l’altro graditissima alla maggior parte degli elettori dell’UDC. L’idea è buona, i numeri ci sarebbero, Letta, il Vaticano (o meglio, la segreteria di Stato del Vaticano, fervente berlusconiana) e Vespa spingerebbero per concludere l’affare. Casini però per il momento glissa, troppe le questioni da risolvere, a cominciare dai rapporti con la Lega. Secondo Pierferdy l’unica possibilità è accettare una crisi di governo, ricostruire un esecutivo di unità nazionale che coinvolga anche il PD, e magari sbarazzarsi proprio della Lega. Provvisoriamente certo, per superare le emergenze, ma si sa che in Italia il provvisorio e il definitivo hanno confini labili.

Due possibilità, o Casini ci crede davvero e quindi danza sul limite tra il politico e il visionario (non necessariamente un termine dispregiativo), oppure non ci crede per niente e sta prendendo tempo. Tra un po’ cioè potrà dire: io la mia proposta l’ho fatta, non avete voluto e quindi mi sento autorizzato ad accettare la proposta di Berlusconi. I rapporti con la Lega? Facilmente risolvibili in puro stile democristiano: più spazio per noi al governo vuol dire meno spazio per loro, quindi possiamo dire di essere anti-leghisti. Certa politica si basa sulle sfumature.

Ultima puntualizzazione, cosa ci faceva Bertone da Vespa? E Draghi? Su Bertone, come già detto, pochi dubbi. Il segretario di stato, quindi il capo delle diplomazia vaticana, è un berlusconiano di ferro e quindi tutto ciò che serve a mantenerlo al comando è ben accetto. Tanto meglio se si può coinvolgere un partito cattolico come l’UDC. Ma attenzione, non stiamo parlando di una persona sola, per quanto autorevole, ma dell’istituzione che rappresenta (o che ritiene di rappresentare) e cioè la Chiesa cattolica. Con buona pace di quelli che si ostinano a ripetere che la Chiesa non si occupa di politica. Sì certo, come no. Per quanto riguarda Draghi la cosa potrebbe essere più sottile. Al mondo economico, e quindi alle banche, interessa una sola cosa, che ci sia continuità e governabilità, perché l’incertezza non fa bene al mercato. Evidentemente la situazione attuale viene valutata come “incerta” dal mondo economico, che invece spingerebbe per una maggiore stabilità. Ingresso dell’UDC o governo di unità nazionale fa poca differenza, l’importante è che si faccia qualcosa. Oppure Draghi sta cominciando a intrattenere le relazioni che gli consentiranno di entrare in politica dal portone principale, può anche darsi. Su Vespa non ci soffermiamo, perlomeno potrà dire di sapere cose che non sa nessun altro, che poi sarebbe la massima aspirazione di un giornalista. Ne facesse uno scoop avrebbe senso, ma il suo ruolo in questo caso non è stato giornalistico, quanto di amico comune in grado di mettere tutti d’accordo. Perché? Mah, forse perché è berlusconiano pure lui. O no?

martedì 13 luglio 2010

In Brancher di tela

di Ivan Vaghi

Siamo arrivati al colmo della nomina di un “ministro del nulla” in funzione dell’ennesima legge “ad personam” per sottrarre i politici alla giustizia, mentre si tradisce la Costituzione sul tema della legge uguale per tutti (Famiglia Cristiana).

Credo che ci sia poco da aggiungere, non si riesce proprio a trovare un limite alla vergogna. Anzi sì invece, mister B è riuscito anche a fare di peggio, cioè a far scrivere sui suoi giornali che le dimissioni di Brancher sono stati una sua vittoria politica personale. Breve riassunto: Aldo Brancher, ovviamente già pregiudicato - per falso in bilancio e finanziamento illecito dei partiti - e sotto processo per ricettazione e appropriazione indebita nella questione Antonveneta, viene nominato ministro dell’attuazione del federalismo, cioè il nulla perché il federalismo non c’è e con buona pace dei leghisti non è nemmeno in programma (stanno facendo qualcosina che sembra più che altro fumo negli occhi). Il nuovo ministero costa agli italiani un milione di euro e lo scopo è uno solo, cioè far chiedere al neoministro l’esenzione dal processo per “legittimo impedimento”, una della tante leggi volute da Berlusconi per se stesso e i suoi amici. Questa volta però non è davvero andata giù a nessuno, tanto che c’era il serio rischio di una crisi di governo. A questo punto il premier prende da parte Brancher e gli dice che per il bene del paese (che tradotto vuol dire per il bene esclusivo di Berlusconi) deve accettare di farsi processare. Brancher, berlusconiano devoto, accetta e si immola al martirio, che per noi comuni mortali vuol dire semplicemente evitare di sottrarsi alla legge. D’altra parte immolarsi per Berlusconi è una delle massime aspirazioni dei suoi servi, come è successo ad esempio con Previti e con il nostro concittadino solbiatese Sciascia, che si sono presi delle condanne per vicende in cui era coinvolto anche Berlusconi (non hanno parlato e si sono prese tutte le colpe, bravi picciotti). Brancher non poteva sottrarsi alle richieste del suo padrone perché, quando fu arrestato la prima volta, Berlusconi e Confalonieri girarono per un po’ in auto intorno a S. Vittore: “è per fargli sentire la nostra vicinanza” disse Berlusconi. Oppure un messaggio pseudo-mafioso: non parlare che ti conviene. Brancher non parlò, i reati furono depenalizzati grazie alle leggi ad personam, e qualche tempo dopo divenne sottosegretario e poi ancora, appunto, ministro.

La domanda vera è sempre la stessa, ma possibile che le istituzioni italiane debbano ridursi ad essere un lasciapassare di immunità per alcuni personaggi impresentabili? E’ dal ’94 che Berlusconi parla di riforma delle Giustizia e le uniche cose che ha fatto in materia sono appunto le leggi per sfangarla, e quando qualcuno si azzarda ad alzare la voce per restituire dignità al Parlamento e alle sue funzioni vengono immediatamente sguinzagliati i cani da guardia: Bondi, Capezzone, Quagliariello, Minzolini, Feltri, subito pronti ad accuse urlate e deliranti, perché chi non è seguace e succube di Berlusconi è come minimo un seminatore d’odio. Non avrei mai pensato di doverlo dire, ma Mussolini perlomeno aveva più classe. Povera Italia, destinata a non essere mai un paese normale, e che prima o poi finisce sempre nella mani di chi non se la merita (o sì?).

giovedì 8 luglio 2010

Extraterrestre, portami via

Mario Borghezio, esponente della Lega Nord, sta portando avanti una battaglia per la nostra sicurezza.

Quando ho visto che i governi di un po’ tutto il mondo si sono messi a declassificare i cosiddetti “X files”, ho pensato: ecco, questa è una mia missione. E’ bastato poco per capire che il tema è davvero tosto…

Gli X files in questione non riguardano maghrebini, albanesi, pakistani, no, no,riguardano proprio gli alieni e gli oggetti volanti non identificati. Insomma, sono gli stessi X files del telefilm, per capirci.

E allora ecco la proposta al Parlamento Europeo:

Italian euro-deputy Mario Borghezio wants the EU to establish a European UFO Centre.

Un bel centro per gli Ufo. Vi prego, ditemi che è solo un sogno, o un telefilm, al massimo.


martedì 6 luglio 2010

Quando riavremo il nostro fiume?

Sembra di essere tornati ai tempi della cartiera VitaMayer di Cairate: è impressionante vedere migliaia di pesci morti galleggiare.

Legambiente ha presentato un esposto per denunciare una serie di episodi che

hanno avuto conseguenze drammatiche per l’ecosistema locale,faticosamente recuperato dai decenni in cui il fiume era biologicamente morto.

La moria di pesci – nei giorni scorsi - si è verificata, accompagnata dalla comparsa di abbondante schiuma, nel tratto di fiume compreso tra Fagnano Olona e Olgiate Olona. Non c’è davvero pace per la nostra Valle e il nostro fiume. E la colpa è di precisi individui, da scovare a tutti i costi.

Poi, vabbè, se ti ricordano tutte gli episodi di “ecomafia” in provincia di Varese nel 2009, allora c'è proprio da stare sereni.



Quanto piace il Meeting ai lombardi

Ma voi che siete uomini,
sotto il vento e le vele,
non regalate terre promesse
a chi non le mantiene.
La notizia è che, questa volta, dopo anni e anni di inchini e riverenze, anche la Lega Nord ha capito che c'è qualcosa che non va. I gruppi di opposizione sono anni che denunciano il finanziamento (quest'anno di oltre 200.000 euro) che la Regione Lombardia (leggi: che Formigoni) concede al Meeting di Rimini.
Gli anni passati, tutto taceva sul fronte leghista.
Il Partito Democratico in Regione Lombardia è dal 2007 che denuncia l'anomalo finanziamento:

In occasione del Meeting di Comunione e Liberazione, la partecipazione della nostra Regione per l'allestimento di uno stand e la pubblicizzazione delle proprie attività è costata la bellezza di 165.000 euro (di cui 15.000 per la pulizia dello stand e l'addobbo floreale). Vale la pena di ricordare che il finanziamento al Meeting di Rimini è ormai una tradizione anche se la cifra di quest'anno supera quella delle edizioni precedenti. Si tratta con evidenza di una forma di sponsorizzazione, che non ha eguali nella nostra Regione: per fare soltanto un esempio, il finanziamento per il Festival della Letteratura di Mantova, che pure la Regione Lombardia patrocina, è circa un decimo di quello previsto per il Meeting. Eppure Mantova è in Lombardia. Rimini non mi risulta che lo sia, ma con quella cifra potremmo iniziare a pensare di acquistare la Fiera.
Ora attendiamo un bel "Meeting di Rimini ladrone" e attendiamo di ascoltare le lamentele di Formigoni per i tagli agli enti locali. Poi ci faremo tutti una risata, stile gorilla del Crodino.

S.C.

lunedì 5 luglio 2010

Gli spiriti di Pedemontana

di Stefano Catone

Passato il tempo degli espropri, è arrivato il tempo delle ruspe e delle motoseghe.

Il mio amico Giulio sostiene che, nelle foto ai lavori, compaia una presenza, che si aggira per il cantiere:

Giulio aggiunge:

Fra vent’anni diremo: “quando c’erano i boschi e la brughiera a Fagnano Olona”. Sono arrivati i distruttori anche nella nostra cittadina, rivoltando con le ruspe ettari di suolo verde, sradicando piante che avevano attecchito da secoli. Il destino del bosco del rione Baraggioli è purtroppo segnato di grigio, il colore dell’asfalto e del cemento armato. Fino a ieri c’era fresco e ombra lì … ma un giorno accadrà tutto il contrario: le ruspe passeranno sopra autostrade e palazzi per costruire parchi e foreste. Un giorno … forse!

giovedì 1 luglio 2010

Digital divide

di Ivan Vaghi

Si può tradurre con “discriminazione digitale”, e sarà la nuova frontiera di intervento sociale dei prossimi decenni. In pratica il mondo si dividerà in chi ha accesso alla rete e chi non ce l’ha, e non è una questione da poco, perché la prossima sarà la società dell’informazione. Il mondo è già passato dalla società agricola a quella industriale, la società digitale sarà solo il prossimo inevitabile passo. Si calcola infatti che alla fine del XXI secolo solo il 5% dei lavoratori attivi verrà impiegato per far funzionare la produzione, tutti gli altri avranno compiti di ricerca, sviluppo, produzione e gestione delle informazioni, e il luogo deputato a farlo è la rete. La conclusione facile è che chi avrà il controllo della rete avrà anche il controllo dell’economia, e che chi sarà escluso dalla rete sarà anche escluso dallo sviluppo sociale. A sostenerlo è il sociologo Manuel Castells in un libro, “L’età dell’informazione”, che è stato definito la prima vera innovazione nel campo dell’analisi della società dai tempi di Marx. Quello di cui Castells ha paura è che la mancata gestione a livello politico dell’economia digitale possa lasciare spazio a forme di sfruttamento e appunto di esclusione. Quello che abbiamo sperimentato fino adesso, cioè la concentrazione del capitale nelle mani di pochi e la conseguente formazione di una società fortemente sbilanciata, potrebbe essere anche la condizione futura. La differenza è che i nuovi “padroni” non saranno i proprietari dei mezzi di produzione, ma i proprietari dei servizi che li fanno funzionare, senza i quali la produzione cesserebbe. Lo sviluppo tecnologico che permetterà tra non molto di scambiare in rete decine di milioni di informazioni al secondo consentirà di poter reperire in rete i servizi necessari al funzionamento delle attività produttive di ogni tipo, sollevando aziende, professionisti, enti pubblici dalla necessità di dotarsi dei programmi necessari, che necessitano di continui e costosi aggiornamenti. Il servizio sarà affittato a costi contenuti con il conseguente aumento dei profitti. Il controllo però passerà al fornitore del servizio e quindi si instaurerà un elemento critico che la nuova società dell’informazione dovrà tenere in considerazione.

La politica deve pertanto affrontare questo problema, che ha vari aspetti, tutti concatenati: “lo sviluppo culturale ed educativo influenza lo sviluppo tecnologico, il quale influenza lo sviluppo economico, il quale influenza lo sviluppo sociale, il quale a sua volta stimola lo sviluppo culturale ed educativo. Si può trattare di un circolo virtuoso di sviluppo così come di una spirale negativa di sottosviluppo”. Già, perché poi bisogna vedere chi è che controlla e come lo fa. Sempre Castells afferma che: “le banche centrali non sono in grado di esercitare un vero controllo sui flussi globali di capitale nei mercati finanziari. E questi mercati non sono sempre governati da regole di natura economica, ma da turbolenze dell’informazione di diversa origine. I governi nazionali, nel tentativo di conservare un qualche controllo sui flussi globali di capitale e di informazioni, si coalizzano per creare o aggiornare istituzioni sovranazionali alle quali cedono gran parte della propria sovranità. In tal modo riescono a sopravvivere, ma sotto forma di un nuovo tipo di Stato che connette istituzioni sovranazionali, Stati nazionali, governi regionali e locali e perfino organizzazioni non governative in una rete di interazioni e di processi decisionali comuni, e che sta diventando il modello politico prevalente dell’era dell’informazione: lo Stato rete.”

Ma veniamo a noi, quali sono i rischi che bisogna evitare? Per prima cosa proprio il digital divide “se chi rappresenta una risorsa valida può essere facilmente connesso – e non appena smette di essere utile può essere facilmente disconnesso – allora il sistema di produzione globale è popolato allo stesso tempo da individui e gruppi estremamente preziosi e produttivi e da persone che non sono o non sono più considerati preziosi, anche se fisicamente non sono scomparsi dalla scena”. Il problema è reale perché “in quasi tutti i paesi il deficit di istruzione e la mancanza di un’infrastruttura informatica fanno sì che l’intera economia dipenda dai risultati dei pochi settori globalizzati, sempre più vulnerabili alle tempeste dei flussi finanziari globali”, che come abbiamo visto ad oggi non sono governabili dalle banche centrali. Si corre il rischio quindi di creare una imponente sottopopolazione di sfruttati e di esclusi, un vero e proprio quarto mondo trasversale alla collocazione geografica, che risiede in tutti i paesi e in tutte le città del mondo, più o meno grande a seconda del grado di sviluppo tecnologico intrinseco. A questo punto si può decidere se accettare la situazione, e quindi limitare il quarto mondo attraverso imponenti investimenti nel settore dell’information technology, oppure dare il via ad una nuova era di intervento politico che non può che essere globalizzato e sovranazionale. E che inevitabilmente si scontrerà con gli enormi interessi di quei pochi “gestori” dell’economia globale digitalizzata, che oltre a non aver più bisogno degli investimenti di capitali tipici dell’era industriale avrà interesse a limitare i controlli sull’utilizzo della forza lavoro per poter moltiplicare a dismisura i profitti. Ovvio che da un punto di vista “sinistrorso” questa situazione è senz’altro da evitare, ma lo è anche se la vediamo da “destra”, perché “se la competizione tra imprese e nazioni passa attraverso il peggioramento delle condizioni di lavoro, e i frutti della produttività restano concentrati in poche mani, la maggior parte dei lavoratori non avrà più incentivi a investire il proprio capitale intellettuale in un’impresa collettiva, la curva dell’istruzione rallenterà, e si restringeranno sia il potere d’acquisto che la spinta all’innovazione”. In poche parole tanto più sarà grande il quarto mondo tanto meno sarà garantito lo sviluppo sociale e le possibilità di affermazione individuale, oltre che collettiva.

Se compito della politica è quindi analizzare la società e pensare ai problemi ancora prima che si manifestino, credo che sia necessario da parte dei nostri politici cominciare a farlo. E se non possiamo verosimilmente contare sulla lungimiranza della nostra compagine di governo, forse possiamo contare su quella dell’opposizione: perché non affrontare l’argomento del controllo sovranazionale delle centrali economiche dell’era digitale e ragionare sulle ricadute sociali che ci troveremo ad affrontare? Si potrebbe cominciare da una raccolta di dati e dal monitoraggio della situazione fintanto che siamo ancora in “incubazione”. D’altra parte se in futuro il potere lo avrà chi possiede le informazioni sarebbe il caso di non farsi lasciare indietro da subito, e cominciare a produrre noi stessi le informazioni necessarie all’analisi sociale del prossimo futuro. Certo, non si ricaverà un voto in più che è uno, perché l’analisi della società in cui vivranno i nostri figli non interessa per nulla i loro padri, ma la politica deve anche essere assunzione di responsabilità. Non necessariamente corrisposta.