di Ivan Vaghi
Forse a un lettore poco
consapevole sembrerà che nel circolo del PD di Solbiate si stia consumando una
specie di psicodramma, qualcun altro penserà alla solita sinistra litigiosa che
non va d’accordo neanche quando vince. Sì e no. Nel senso che in effetti una
specie di “dramma” è in atto, ma non perché litighiamo tra noi, perlomeno non a
Solbiate.
Difficile spiegare bene le cose,
anche se ci proveremo, i fatti sono che il nostro segretario ha lasciato il
partito e gli incarichi a esso correlati, e che altri membri storici del
circolo, presenti dal momento della sua fondazione, hanno deciso di non
rinnovare la tessera e quindi, di fatto, di sospendersi dalle attività di
militanza nel partito. Il circolo di Solbiate in effetti è sempre stato poco “allineato”,
è stato invece tra i promotori del cambiamento di rotta (anche e soprattutto
nella nostra realtà provinciale) in opposizione alla guida storica, che stava
ormai vegetando, preda di se stessa. Dovremmo quindi essere contenti di come si
è messa. Alle ultime elezioni europee il PD ha preso, anche a Solbiate, il 40%
dei voti, in una realtà dove fino a poco tempo prima il centrodestra arrivava
al 70 e oltre. Perché allora non siamo contenti? Sostanzialmente perché
l’elettorato non ha cambiato opinione, ha semplicemente messo la X sul simbolo
di un partito invece che su un altro e continua a votare per il leader
carismatico, che adesso ha semplicemente cambiato nome ma non politica e
nemmeno atteggiamento. Non è quello che speravamo.
Lo so, si fa fatica a capire, non
a caso ho usato il termine psicodramma. Potrei cavarmela dicendo che le
percentuali hanno poco valore, visto che la metà della gente ormai non vota più
perché delusa, arrabbiata, confusa, disinteressata o troppo indecisa. Il numero
degli elettori del PD è diminuito nettamente in valore assoluto, senza parlare
del numero delle tessere e dei militanti, ormai in via di estinzione. Lo so che
da altre parti le cosa non vanno meglio, ma il PD era nato per dare vigore alla
partecipazione politica da parte dei cittadini, e sta miseramente fallendo in
questo intento, tanto quanto gli altri. L’obiettivo adesso è di prendere voti,
dovunque siano e a qualsiasi costo. La politica come scopo della politica, il
potere come fine del potere. Il dissenso interno? Ruspe. Sono costretto a
citare Salvini, pensate come sono messo.
Potrei andare avanti a parlare in
politichese, dicendo che Renzi ha intrapreso con molto vigore un
riposizionamento del partito per sedurre i cuori dei nostalgici della DC, che
lavorerà per abbandonare le primarie, pensate invece per essere uno dei
pilastri del PD, oppure che non sta dando seguito alle sue proposte
programmatiche, preda com’è delle sue continue incoerenze. Lasciamo perdere,
tempo perso. Mi premeva di più dare una mia lettura della vicenda da un punto
di vista biologico (in realtà antropologico), se non altro si tratta di
qualcosa di originale.
Ho già abbondantemente superato
il numero di parole tollerato da un lettore medio del web, quindi le persone
che leggeranno i prossimi paragrafi saranno molte meno di quelle che hanno
iniziato, ma in fondo va bene così, mi rivolgo agli amici che hanno voluto
sempre ascoltare quello che avevo da dire, e che ringrazio per averlo fatto in
questi anni. Gli altri pazienza, non sarò comunque in grado di fargli cambiare
idea. Una volta un elettore di Solbiate mi ha detto di non avere letto i
programmi delle liste che si presentavano alle elezioni comunali perché troppo
lunghi. A votare però ci è andato lo stesso. Sulla base di cosa, dal mio punto
di vista, è un mistero. L’aneddoto mi serve per collegarmi alla biologia, e
soprattutto al concetto di convergenza evolutiva.
C’è sempre stato un equivoco sul
concetto di evoluzione, perché per la maggior parte della gente l’evoluzione è
un processo che porta a un continuo miglioramento, ma non è così. Più
semplicemente è il processo che premia chi si adatta meglio all’ambiente in cui
si trova. Quindi dipende tutto dall’ambiente. Berlusconi sosteneva che il suo
elettore medio spesso non aveva nemmeno la terza media, e comunque non aveva
mai letto un libro o non ne leggeva uno da anni. Quindi era inutile fare grandi
discorsi o prospettare chissà quali scenari (lo stesso concetto di rivoluzione
liberale era rimasto confinato all’interno dei pochi intellettuali del centro
destra), ma aveva basato tutte le sue campagne elettorali avendo come
riferimento persone che volevano essere guidate e basta, a cui non interessava
capire. Aveva dato loro un modello: goliardia (cene eleganti), divertimento (tv
trash, calcio), e soprattutto disimpegno, perché c’era qualcuno che avrebbe
pensato a loro (ghe pensi mi,
appunto). Il risultato è il leader carismatico e totipotente, caduto in
disgrazia solo perché abbattuto dai colpi dell’economia, molto più che dalla
perdita di appeal della sua immagine. Aveva “letto” il suo ambiente, aveva
capito che cosa la gente credeva di volere e si è adattato meglio di altri,
risultandone premiato. Il risultato? Che l’ambiente è rimasto lo stesso, anzi,
si è ulteriormente deteriorato e adesso concepisce la politica esclusivamente
come quella cosa inutile e dannosa da cui a volte può emergere un nuovo leader
carismatico cui consegnare le residue speranze. Da dove venga e cosa dica non
ha nessuna importanza. Grillo, Salvini, Renzi, vince chi urla più forte. I
nuovi leader non si sognano nemmeno di rendere reversibile il deterioramento
dell’ambiente in cui si vengono a trovare perché questo significherebbe dare
agli altri troppo vantaggio. Vince chi si adatta meglio, non chi cambia
l’ambiente, questo lo hanno capito benissimo e hanno deciso di convergere verso
il modello che garantisce il migliore adattamento.
Ecco, il PD delle origini aveva
un’idea completamente diversa: i buoni leader vengono dalla buona politica, la
buona politica viene dalla partecipazione e dalla presa di coscienza del maggior
numero di cittadini possibile, la partecipazione implica sforzi strategici mai
visti dai tempi del dopoguerra. I primi passi erano stati fatti, le primarie
soprattutto, poi l’arrivo di nuovi personaggi che avevano le idee giuste e un
grande entusiasmo. Si migliora tutti insieme o non migliora nessuno, se c’era
una possibilità di guidare l’evoluzione verso i binari giusti era necessario,
ed era compito della politica, provarci. Qualcuno di noi continua a pensare che
è ancora compito della politica
provarci. Forse con meno entusiasmo, con meno determinazione. Il PD adesso
sostiene che bisogna adattarsi all’ambiente, non provare a migliorarlo.
Smettiamola con le primarie, con i tesserati, con la partecipazione, tutte
cazzate, contano solo i voti. Qualcuno di noi pertanto non può più stare nel
PD, è un semplice sillogismo.
Il fine giustifica i mezzi (frase
che Machiavelli non ha mai pronunciato, è una leggenda metropolitana). Bisogna
fare le riforme, quindi se è necessario forzare le situazioni bisogna farlo, per
il bene del Paese. E certo, così però vale tutto, Mussolini diceva esattamente
le stesse cose. Non sto facendo confronti, per carità, dico semplicemente che
il metodo non è solo un orpello inutile, ma uno strumento fondamentale. Uno di
quelli che permette la consapevolezza e la partecipazione, uno di quelli che
permette di migliorare il deterioramento del nostro ambiente. Renzi invece?
Ruspe. Quando parlava di cambiamento di verso mica l’aveva detto che parlava di
questa roba qui. Così si creano vuoti, riempiti da gente che dice sempre di sì
per i più svariati motivi. Anche gente che abbiamo incrociato per strada, con
cui abbiamo fatto un percorso insieme e che sicuramente ci crede e sta facendo
del suo meglio per il bene di tutti. Insieme a loro però anche una carovana di
affaristi, profittatori, doppiogiochisti, arrampicatori sociali, opportunisti,
tutta la gentaglia che aveva gonfiato le file di Forza Italia e che adesso ha
bisogno di qualcuno che dia maggiori garanzie. Il deterioramento dell’ambiente che
continua.
Sto esagerando? Probabilmente sì,
l’amante ferito diventa cattivo, i sogni infranti fanno malissimo. Spero sempre
che Renzi un giorno decida di colpire corruzione, evasione fiscale e
criminalità organizzata con la stessa foga con cui si è avventato sui suoi
avversari politici (quasi esclusivamente quelli interni perché con quelli
esterni va d’accordissimo), oppure che faccia qualche consistente passo in
avanti per questioni come le unioni civili o il fine vita, quello sì sarebbe un
bel cambiamento di verso. Se non succederà si ricomincerà da capo oppure non si
ricomincerà più. Il tempo passa e ci si stanca pure.
Nel frattempo stiamo a guardare
questa lotta evolutiva tra soggetti politici che lottano per gli stessi voti,
perché ormai non c’è più molta differenza tra un elettore e l’altro. I partiti
sono diventati solo club di tifosi, in cui conta solo l’appartenenza e non i
significati che racchiudono. Se declinate la questione alla realtà locale vedrete
che ci troviamo nella stessa identica situazione, in cui non si leggono i
programmi perché troppo lunghi, in cui la consapevolezza di essere cittadini e
le responsabilità che questo implica sono frasi senza senso, in cui chi sa
sfruttare le peggiori armi della politica l’avrà sempre vinta, anche perché
migliorare l’ambiente li escluderebbe dalla linea evolutiva e sarebbero
tagliati fuori. Non se lo possono permettere, a tutti i livelli, e ognuno a suo
modo, secondo un proprio percorso, convergeranno verso quell’adattamento
evolutivo che garantirà loro i migliori benefici. Il peggio per tutti gli altri
è il meglio per loro.
Avevamo prospettive diverse,
volevamo un ambiente diverso. Forse abbiamo sbagliato pianeta. O forse abbiamo
semplicemente sbagliato partito.